Project Description
GABRIELE CECCONI
— TIàWùK —
Il Kuwait è uno stato della regione del golfo persico abitato da circa 4 milione di persone dove la popolazione kuwaitiana ammonta a 1,5 milioni solamente, mentre i restanti abitanti sono espatriati ed immigrati che lavorano sul territorio. E’ uno degli Stati più piccoli e ricchi del mondo ed il suo territorio è completamente desertico. Soltanto il 2% del territorio è coltivabile ed è l’unico Paese al mondo privo di riserve di acqua naturali nel sottosuolo, che invece abbonda di petrolio. Il Kuwait, ricco di storia anche se estraneo all’attenzione dei media, è lo Stato che nell’area, negli ultimi 30 anni, ha subito prima ed in maniera diretta l’influenza del modello culturale americano a causa della Guerra del Golfo del 1990. Gli Stati Uniti, intervenendo nella storica operazione “Desert Storm”, inaugurando tra l’altro la prima guerra televisiva della storia, liberarono il Paese dall’attacco iracheno lasciando profonde radici. La stabile presenza americana in suolo kuwaitiano, l’innesto di capitali umani e finanziari ha di fatto creato il mito della cultura americana stabilendola quale punto di riferimento, cosa che da un lato ha permesso al Kuwait di essere ad oggi l’Emirato più libero e maturo di tutta l’area (è l’unico Paese del Golfo con un parlamento) ma dall’altro ha creato un immaginario distopico alimentato dalla ricchezza economica dei petrodollari. A distanza di 30 anni questo grottesco sincretismo continua a mettere quotidianamente in evidenza le contraddizioni di un modello di vita che galleggia tra le rigide regole della religione islamica e la cosiddetta deregulation (definita anche libertà) del modello capitalisti- co e culturale americano.
Questo modello, portato all’eccesso per tutte le questioni sopra evidenziate, acuite dal contesto ambientale anch’esso estremo, genera una realtà surreale dove il con ne con la messa in scena diventa sottile, a volte impercettibile. La realtà sembra qui mettersi in scena e mentirci su sé stessa così come la fotografia, in quanto rappresentazione, ci mente su di essa. In questo gioco di specchi ciò che emerge è la labilità del con ne tra ciò che è reale e ciò che non lo è.
Per fare ciò il lavoro cerca d’indagare lo stereotipo che la cultura americana esporta e che in questo caso trova in Kuwait terreno fertile, richiamandosi ad un immaginario legato alla fantascienza americana. La forza attrattiva verso quel “surrealismo deregolamentato” teorizzato dal filosofo tedesco Cristophe Turcke, che si rivela in Kuwait nella sua veste tecnologica ed avveniristica ma con una punta di nostalgia tradizionale legata alla cultura islamica (evidente ad esempio nei costumi), sembra definire i contorni di un immaginario legato alla letteratura e filmografia fantascientifica. La possibilità di richiamare uno stereotipo cinematografico ben definito ormai nella coscienza collettiva come “non reale”, innesca il cortocircuito nella mente dello spettatore che identificherà l’immagine come non vera, quanto meno ambigua.
E’ interessante inoltre evidenziare l’emersione di un punto di contatto ulteriore tra capitalismo e fotografia. Partendo dal presupposto che la fotografia (non l’immagine) è un prodotto capitalistico, qui la linea di contatto si trova nella capacità del mezzo fotografico, anch’esso ambiguo di per sé in quanto rappresentazione, di cogliere e far emergere con tutta la sua forza visiva il prodotto estetico che questo immaginario produce.
Sembra quasi che l’autore non debba far altro che porre la camera di fronte alla scena e questa emerga naturalmente in tutta la sua ambiguità, rivelandosi. Il medium fotografico sembra così essere il mezzo perfetto per far emergere questo cortocircuito.
A questo punto il Kuwait diventa un pretesto per affrontare un tema ben più ampio, legato al senso della verità in fotografia e quindi nell’arte. LA fotografia a trascende la realtà e quindi ci mente su di essa, ma anche la realtà qui sembra messa in scena e mentire su sé stessa. Chi mente quindi? La fotografia o la realtà? Chi è il falsario si chiede Orsonn Welles nel suo poco noto lm “F for Fake?
Nel 2020 si compiono 30 anni dalla guerra del golfo ed analizzare quello che stà succedendo in questo Paese diventa interessante alla luce degli argomenti trattati che, nel caso di specie, s’innestano in un contesto geopolitico, economico e sociale post-bellico.
BIOGRAFIA
Born in 1985, I’m a documentary photographer interested in social, political and environmental issues. I’ve approached photography in 2014 after a law degree and in 2015 i was selected by Camera Torino and Leica for a masterclass with the Magnum photographer Alex Webb. After that I had solo and collective exhibitions and i have published my works for different magazines among which L’Espresso, Internazionale, D La Repubblica and The Caravan.