ITALY PHOTO AWARD
— International Month of Photojournalism —
MIGLIOR PORTFOLIO

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UNHEIMLICH
— Pierluigi Ciambra —
Vince il premio Miglior Portfolio Pierluigi Ciambra con “Unheimlich”, un progetto che parte da un contesto familiare e intimo, le sue due figlie per arrivare a raccontare, attraverso un linguaggio simbolico, il tema dell’infanzia e della dimensione tra realtà e fantasia. Quest’ultima tipica dei bambini.
L’autore compie un viaggio visivo con le sue figlie e riesce a stabilire con ciascuna di loro, una relazione unica con le quali rivive sensazioni, ricordi, sogni. L’intento di Ciambra è quello di raccontare l’incanto che appartiene all’infanzia di ognuno di noi. La dimensione fantasiosa viene ben rappresentata dalle stesse tinte cromatiche surreali. Colori vivaci, giochi di luce e soggetti magici in primo piano. Uno stile nuovo che evoca le emozioni e la passione dell’autore nel creare il progetto.
Il ricordo dell’infanzia attraverso il vivere delle proprie figlie. Risulta un’azione alienante, quasi stordisce. I ricordi sono sfumati, incerti e distanti dalla realtà. È come perdere improvvisamente l’orientamento e trovarsi in un altro mondo, il loro mondo magico, dove si perde il confine tra realtà e fantasia, come in un sogno.
Tutto ciò può risultare estremamente straniante, perturbante, unheimlich, per l’occhio adulto. Si percepisce qualcosa di strano e inconsueto, è una sensazione ambigua. Qualcosa che è allo stesso tempo estranea e familiare. Questo equilibrismo sentimentale viene fermato e catturato nei ritratti di ambienti intimi, sullo sfondo di un piccolo villaggio del sud Italia, nei volti di bambine che crescono e scoprono il mondo, quello che ancora non è il loro. E lì la relazione padre-figlie si affina nella percezione delle differenze e diventa unica con ognuna di loro.
GIOVANE TALENTO

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STILL BIRTH
— Chiara Ernandes —
Un diario visivo sorprendente e delicato che espande i confini dell’appartenenza e accoglie e legittima in una dimensione fusionale rocce e vulcani come parte del proprio lessico intimo e del proprio vissuto.
Sono nata morta l’8 agosto del 1989.
Cianotica e ipotonica sono stata intubata e rianimata con un massaggio cardiaco: al 5° minuto i miei valori vitali si sono stabilizzati.
Negli anni questo evento ha assunto per me significati diversi, collocandosi sempre in un angolo del mio corpo che ne custodiva il segreto, le ragioni assolute, le domande senza risposte. Ha legittimato le mie stranezze, ne ha difeso i miei limiti, ha esasperato la mia disperazione e la mia diversità, la mia lontananza dal mondo, ha sostenuto la mia disobbedienza.
Poi ho sentito la necessità di cercarmi, di dichiarare a me stessa che esistevo: ho cominciato a chiedere al mio corpo di ricordarsi dove era stato, che lingua aveva parlato mentre cercava di cominciare ad esistere. Mi sono vestita da speleologa, da astronauta, da palombaro, da scienziata, da ricercatrice: sono entrata nei miei crateri siderali, nelle mie calcificazioni rocciose, nella dimensione fusionale che assume il tempo quando non esiste.
Mi sono avvistata sparpagliata nella luce, mi sono confusa in una pietra, mi sono nascosta dentro mia madre da cui non poteva esistere separazione.
Ho cominciato dalla morte per contraddizione.
PREMIO FOTOGIORNALISMO

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SOSPESI
— Andrea Signori —
La vita rurale dei rifugiati siriani a Marjayoun nel mezzo della crisi libanese
Vince il premio Fotogiornalismo Andrea Signori con “Sospesi”, un progetto che documenta, attraverso una sguardo originale, la crisi politica, finanziaria, economica che ha colpito il Libano.
L’autore si distingue per una narrazione di dittici, ritratti accostati a fotografie di paesaggio, dando un valore aggiunto e un taglio inedito al reportage fotogiornalistico.
L’interpretazione fotografica di ogni ritratto, sapientemente costruito, esprime in modo coerente lo stato di una comunità sospesa nel tempo e nello spazio.
Un progetto che mette in luce il risvolto sociale e umano di una crisi politica che ancora oggi permane.
La crisi politica, finanziaria, economica che ha colpito il Libano negli ultimi mesi rischia di mettere in ginocchio, oltre alla popolazione libanese, il già fragile equilibrio delle comunità siriane presenti nel territorio. E’ il caso di Marjayoun e delle vallate di cui si circonda, dove vivono circa 5000 rifugiati siriani, che dall’inizio della guerra in Siria nel marzo del 2011,hanno abbandonato le loro case distrutte o occupate per cercare riparo in Libano.
Nel sud del Paese, lungo il confine che separa il territorio libanese da Israele e Siria 860 famiglie vivono in 74 campi informali dal 2011, anno dell’inizio della guerra in Siria. I rifugiati siriani vivono perlopiù in piccoli agglomerati costituiti da tende. I nuclei famigliari sono spesso numerosi, con molti figli a carico la cui maggior parte è nata in Libano. Vivono di agricoltura, prestando servizio come braccianti al servizio di proprietari terrieri libanesi. Lo stipendio varia dai 2$/ora per gli uomini ai 0,75/1$/ora per le donne. Coltivano sia frutta (angurie, pesche albicocche, uva) sia verdura (cavoli, insalata, patate, pomodori,
cetrioli) a seconda delle stagioni. Come riferito da Avsi, una delle Ong autorizzate ad operare nel territorio e che si occupa di sostenere la popolazione siriana in ambito educativo e professionale, con una presenza in 59 dei 74 campi informali presenti a Marjayoun, donne, uomini e bambini stanno scontando le conseguenze della pesante inflazione che sta danneggiando l’economia del Paese. Da quando è scoppiata la rivoluzione, nell’ottobre dello scorso anno, al cambio ufficiale 1$=1515 Lire Libanesi si è affiancato un mercato parallelo che ha visto la moneta locale precipitare al rapporto 1$=2000/2400 LL.
L’assenza di dollari nelle riserve delle banche rende limitatissimo il prelievo di contanti, che è stato regolamentato a un massimo di 200/300$ la settimana.
La mancanza di contante rende il difficile il pagamento delle prestazioni lavorative dei siriani di Marjayoun da parte dei proprietari delle campagne, spingendo le famiglie in uno stato di doppia o tripla sospensione. Oltre al perenne status di rifugiato che le vede private della propria casa e delle proprie radici da anni, si aggiungono la mancanza di lavoro nel pieno della stagione invernale e la perdita o assenza del potere d’acquisto, dovuto proprio alla crisi che sta colpendo il Paese. Da 10 anni vivono in campi provvisori, i figli nati dopo l’esodo dalla Siria non hanno nessuna cittadinanza. Sono in attesa di lavoro, documenti, destino. Senza riferimenti, sospesi nel tempo e nello spazio.
FELLOWSHIP PARALLELOZERO

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COVA DA MOURA
— Yarin Trotta del Vecchio —
A partire dai primi anni ’60 consistenti flussi migratori provenienti soprattutto dalle excolonie hanno interessato molti stati europei, arrivando a rendere l’attuale contesto demografico dell’UE sempre più caratterizzato dalla presenza di extracomunitari. Se negli anni alcune dinamiche delle migrazioni sono cambiate, c’è un aspetto, invece, che è rimasto costante nel tempo e che spesso rappresenta l’unico bagaglio che porta con sé il migrante: la propria identità culturale. Cova da
Moura è un’area di 20 ettari situata nella periferia nord di Lisbona, costruita dai primi capoverdiani che, a partire dal 1975, anno in cui Capo Verde raggiunse l’indipendenza, cominciarono ad emigrare verso la capitale lusitana. A seguito del costante flusso migratorio, Cova è diventato un quartiere unico nel panorama europeo grazie alla sua mono-etnicità: ad oggi l’80% dei circa 6.000 abitanti è di origine capoverdiana, caratteristica che rende quest’area dell’hinterland di Lisbona
una piccola nazione all’interno dello Stato portoghese.
Le complicate dinamiche sociali del quartiere, tuttavia, hanno fatto sì che, nella percezione comune, il nome di Cova da Moura sia diventato sinonimo di insicurezza, precarietà sociale e violenza.